Riciclaggio dei
soldi della Lega. La pista della destra eversiva.
Nelle telefonate il nome del neofascista Delfo Zorzi.
Un unico flusso finanziario che intreccia i guadagni delle attività criminali della ’ndrangheta con quelli provenienti dai finanziamenti alla politica. Conti correnti e società utilizzati per il riciclaggio del denaro sfruttando i canali istituzionali e quelli della destra eversiva. Fa un nuovo salto di qualità l’inchiesta sulla destinazione del soldi della Lega Nord gestiti dall’ex tesoriere Francesco Belsito. Perché arriva nei gangli della finanza milanese, lì dove mondi apparentemente diversi si uniscono per occultare il denaro ricavato con attività illecite.
Le venti perquisizioni compiute ieri dagli investigatori della Dia per ordine del pubblico ministero di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo e del suo collega della Direzione Nazionale Antimafia Francesco Curcio, svelano le operazioni di riciclaggio compiute negli ultimi due anni e fanno emergere figure come quella di Delfo Zorzi, neofascista esponente di Ordine Nuovo processato e poi assolto nei processi per le stragi di piazza Fontana e di piazza della Loggia.
Sono le intercettazioni telefoniche e le verifiche effettuate attraverso i documenti bancari e gli interrogatori a svelare la «rete» della quale si sarebbero serviti anche i responsabili patrimoniali del Carroccio. È così si scopre come Romolo Girardelli, «l’ammiraglio» che faceva da collegamento con la cosca dei De Stefano; Pasquale Guaglianone, il «mediatore» noto per essere stato tra l’altro il tesoriere dei Nar (i Nuclei Armati Rivoluzionari); l’avvocato Bruno Mafrici (questi ultimi due entrambi con studio professionale a Milano), fossero riusciti a trovare nuovi contatti per il reimpiego dei capitali. Tra le persone «sentite» al telefono con Guaglianone c’era proprio Zorzi. Ma tra gli indagati c’è anche Giuseppe Sergi, l’ex assessore regionale «fedelissimo» del governatore Giuseppe Scopelliti e ben inserito nelle municipalizzate calabresi.
Scrivono i magistrati nel capo di imputazione: «Gli indagati, ciascuno nella sua qualità professionale, politica e imprenditoriale, prendevano parte ad un’associazione per delinquere – al cui interno opera una componente di natura segreta – collegata e avente rispetto alla cosca De Stefano di Archi di Reggio Calabria, il cui composito programma criminoso risulta finalizzato a fornire un consapevole contributo diretto ad agevolare la struttura criminale in due settori: quello economico e finanziario nel cui ambito si pianificano le complesse attività di riciclaggio e reimpiego di capitali di provenienza illecita e di controllo delle attività imprenditoriali; in quello politico istituzionali nei quali le relazioni personali, tra cui quella con Francesco Belsito, vengono sfruttate al fine di consolidare e implementare la capacità di penetrazione e di condizionamento mafioso».
C’è dunque un doppio livello dove ognuno ha il proprio ruolo e lavora per perseguire l’obiettivo comune di acquisire sempre maggiore potere all’interno delle istituzioni e sfruttarlo per concludere affari. È proprio l’atto di accusa che dispone le perquisizione a individuare gli «schemi operativi finalizzati ad occultare la reale natura delle attività svolte dovendosi ritenere che anche attraverso molteplici operazioni di consulenza finanziaria e commerciale illecita (in quanto finalizzata a illegale arricchimento), riguardante operazioni imprenditoriali relative al contesto territoriale reggino riferibili all’attività professionale svolta dalla Mgim con studio in via Durini a Milano, si siano poste in essere attività dirette ad agevolare operazioni di riciclaggio o reimpiego di ingenti capitali di provenienza delittuosa».
I magistrati specificano come «la gestione delle operazioni politiche ed economiche ha consentito agli indagati di divenire il terminale di un complesso sistema criminale destinato tra l’altro ad acquisire e gestire informazioni riservate che venivano fornite da soggetti collegati anche ad apparati istituzionali e canalizzate a favore dei componenti dell’organizzazione». È l’attività di dossieraggio già emersa nella prima fase di indagine, quando si scoprì che tra gli obiettivi c’era anche l’allora ministro dell’Interno e leader della Lega Roberto Maroni
Nelle telefonate il nome del neofascista Delfo Zorzi.
Un unico flusso finanziario che intreccia i guadagni delle attività criminali della ’ndrangheta con quelli provenienti dai finanziamenti alla politica. Conti correnti e società utilizzati per il riciclaggio del denaro sfruttando i canali istituzionali e quelli della destra eversiva. Fa un nuovo salto di qualità l’inchiesta sulla destinazione del soldi della Lega Nord gestiti dall’ex tesoriere Francesco Belsito. Perché arriva nei gangli della finanza milanese, lì dove mondi apparentemente diversi si uniscono per occultare il denaro ricavato con attività illecite.
Le venti perquisizioni compiute ieri dagli investigatori della Dia per ordine del pubblico ministero di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo e del suo collega della Direzione Nazionale Antimafia Francesco Curcio, svelano le operazioni di riciclaggio compiute negli ultimi due anni e fanno emergere figure come quella di Delfo Zorzi, neofascista esponente di Ordine Nuovo processato e poi assolto nei processi per le stragi di piazza Fontana e di piazza della Loggia.
Sono le intercettazioni telefoniche e le verifiche effettuate attraverso i documenti bancari e gli interrogatori a svelare la «rete» della quale si sarebbero serviti anche i responsabili patrimoniali del Carroccio. È così si scopre come Romolo Girardelli, «l’ammiraglio» che faceva da collegamento con la cosca dei De Stefano; Pasquale Guaglianone, il «mediatore» noto per essere stato tra l’altro il tesoriere dei Nar (i Nuclei Armati Rivoluzionari); l’avvocato Bruno Mafrici (questi ultimi due entrambi con studio professionale a Milano), fossero riusciti a trovare nuovi contatti per il reimpiego dei capitali. Tra le persone «sentite» al telefono con Guaglianone c’era proprio Zorzi. Ma tra gli indagati c’è anche Giuseppe Sergi, l’ex assessore regionale «fedelissimo» del governatore Giuseppe Scopelliti e ben inserito nelle municipalizzate calabresi.
Scrivono i magistrati nel capo di imputazione: «Gli indagati, ciascuno nella sua qualità professionale, politica e imprenditoriale, prendevano parte ad un’associazione per delinquere – al cui interno opera una componente di natura segreta – collegata e avente rispetto alla cosca De Stefano di Archi di Reggio Calabria, il cui composito programma criminoso risulta finalizzato a fornire un consapevole contributo diretto ad agevolare la struttura criminale in due settori: quello economico e finanziario nel cui ambito si pianificano le complesse attività di riciclaggio e reimpiego di capitali di provenienza illecita e di controllo delle attività imprenditoriali; in quello politico istituzionali nei quali le relazioni personali, tra cui quella con Francesco Belsito, vengono sfruttate al fine di consolidare e implementare la capacità di penetrazione e di condizionamento mafioso».
C’è dunque un doppio livello dove ognuno ha il proprio ruolo e lavora per perseguire l’obiettivo comune di acquisire sempre maggiore potere all’interno delle istituzioni e sfruttarlo per concludere affari. È proprio l’atto di accusa che dispone le perquisizione a individuare gli «schemi operativi finalizzati ad occultare la reale natura delle attività svolte dovendosi ritenere che anche attraverso molteplici operazioni di consulenza finanziaria e commerciale illecita (in quanto finalizzata a illegale arricchimento), riguardante operazioni imprenditoriali relative al contesto territoriale reggino riferibili all’attività professionale svolta dalla Mgim con studio in via Durini a Milano, si siano poste in essere attività dirette ad agevolare operazioni di riciclaggio o reimpiego di ingenti capitali di provenienza delittuosa».
I magistrati specificano come «la gestione delle operazioni politiche ed economiche ha consentito agli indagati di divenire il terminale di un complesso sistema criminale destinato tra l’altro ad acquisire e gestire informazioni riservate che venivano fornite da soggetti collegati anche ad apparati istituzionali e canalizzate a favore dei componenti dell’organizzazione». È l’attività di dossieraggio già emersa nella prima fase di indagine, quando si scoprì che tra gli obiettivi c’era anche l’allora ministro dell’Interno e leader della Lega Roberto Maroni
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