giovedì 2 maggio 2013

4 Maggio 1944 : eccidio di Sant'Angelo di Arcevia



L'eccidio di Monte Sant'Angelo fu una strage nazi-fascista compiuta il 4 maggio 1944 sul Monte Sant'Angelo, nel comune di Arcevia (Ancona), nella quale vennero uccisi 63 tra civili e partigiani italiani.
L'eccidio venne perpetrato da truppe nazi-fasciste per combattere le azioni partigiane che in quegli anni realizzarono importanti vittorie. Sottolineiamo che anche decine di prigionieri stranieri, soprattutto jugoslavi, fuggiti dopo l'8 settembre dal campo di concentramento di Arezzo, raggiunsero a piedi Monte sant'Angelo trovando ospitalità presso alcune famiglie. Molti di questi prigionieri poi andarono a raggiungere le formazioni partigiane in montagna. Se oggi Arcevia e Ribnica (cittadina della Slovenia) sono unite da un Patto di Amicizia, consacrato ufficialmente nel gemellaggio del 1972, si deve proprio alla lotta partigiana condotta insieme contro il comune nemico nazi-fascista e per gli stessi ideali di libertà, di giustizia sociale e di pace.
Favorirono il sorgere e lo svilupparsi della lotta partigiana sia la natura montagnosa del territorio, cosparso di spesse boscaglie di querce, di pino e di altri alberi, sia soprattutto le tradizioni patriottiche e progressiste radicate nella sua popolazione e risalenti al primo Risorgimento e agli anni immediatamente successivi alla fine della prima grande guerra mondiale. Questi sentimenti di patriottismo e di emancipazione politica rimasero sopite, ma non cancellate nella coscienza degli arceviesi durante il ventennio fascista.
Furono proprio queste caratteristiche a determinare la piena adesione di gran parte della popolazione e, in particolare, dei contadini alla lotta della Liberazione Nazionale. Ben presto le case coloniche diventarono caserme e le sedi dei comandi militari e partigiani; le stalle, i fienili e le capanne si trasformarono in dormitori; le loro povere dispense diventarono le fonti principali del sostentamento dei combattenti per la Libertà. I contadini preferirono dare quel poco che avevano ai partigiani, piuttosto che versare agli ammassi determinate quantità di derrate alimentari anche con il rischio di forti minacce per questa loro inadempienza.
Per questo pieno appoggio dei contadini alla resistenza decine di case coloniche furono date alle fiamme e molti di loro persero la vita per aver dato alloggio ai partigiani. Il 24 dicembre 1943 divenne operativo il primo raggruppamento partigiano a Monte S.Angelo, composto inizialmente di 18 uomini, armati di moschetto, di fucili da caccia e di qualche bomba a mano.
Il 20 gennaio del 1944, il gruppo attaccò la caserma dei carabinieri e militi di Montecarotto, al solo scopo di impadronirsi delle armi ma per il rifiuto opposto dal comandante della caserma, fu aperto il fuoco e due militi rimasero uccisi; riportarono ferite anche due partigiani. Dopo questa azione il comando del gruppo “S.Angelo” passò al partigiano Domenico Biancini a causa di una malattia del comandante Attilio Avenanti.
Il 2 febbraio 1944 alcuni partigiani del gruppo “S.Angelo” si unirono alle formazioni partigiane del fabrianese per dare l’assalto ad un treno fermo nella stazione di Albacina, carico di 720 giovani, prelevati in diverse città d’Italia per essere deportati in Germania. Ne nacque una violenta sparatoria contro la scorta del treno e nel combattimento due partigiani rimasero uccisi, ma l’operazione riuscì nel suo intento di liberare quei giovani. Anzi uno di questi, Bollati Luigi di Milano, entrò poi a far parte del gruppo partigiano locale.
Il 6 febbraio 1944 il gruppo “S.Angelo” si portò presso il deposito di armi e di equipaggiamenti vari del presidio fascista di Arcevia e si impadronì di cinque moschetti, di munizioni varie, di coperte e cappotti. Prelevò anche alcuni quintali di sale che in gran parte venne distribuito alla popolazione. Sempre in questo periodo vennero perquisite alcune abitazioni di fascisti e un deposito di armi nella stazione ferroviaria di Senigallia. Questa operazione fruttò il seguente bottino: 6 fucili mitragliatori, 60 moschetti, una mitragliatrice pesante, 3 casse di bombe a mano e di munizioni varie. Con questo materiale bellico è stato possibile armare più adeguatamente il gruppo “S.Angelo” che intanto si andava sempre più arricchendo di nuovi elementi. Dopo due attacchi alla posizione tenuta dal gruppo S.Angelo da parte dei militi della Guardia Nazionale Repubblicana di stanza a Cabernardi, il 17 aprile 1944 venne effettuato l’assalto al presidio fascista, posto a guardia della miniera di zolfo di Cabernardi. La sorpresa e la buona conduzione portarono al pieno successo. Tutto il presidio composto in quel momento di 13 militi si arrese. La baracca che serviva da dormitorio al presidio venne bruciata; mentre un milite fascista rimasto ferito nello scontro venne ricoverato all'ospedale di Arcevia, gli altri militi furono portati al Monte Sant'Angelo dove furono tenuti prigionieri sotto stretta sorveglianza. Abbondante è stato il bottino di guerra: 4 mitra “Beretta”, un fucile mitragliatore, 7 moschetti, mezza cassa di bombe a mano, una cassa di munizioni e una pistola. Nel pomeriggio dello stesso giorno circa 50 fascisti armati sopraggiunsero nella zona del Monte Sant'Angelo per attaccare il gruppo e liberare i camerati prigionieri. Allertati dalle sentinelle, i partigiani si predisposero a una pronta difesa adottando la tecnica dell'accerchiamento. Dopo un'ora e mezza di sparatoria, i fascisti si sganciarono e ripiegarono in fuga precipitosa portandosi dietro alcuni feriti; da parte partigiana non si ebbe a subire alcuna perdita.
Il 27 aprile 1944 lungo la strada Arcevia-Sassoferrato venne bloccata una pattuglia fascista a bordo di una moto “Alce”. I due militi vennero fatti prigionieri e portati a Monte S.Angelo, venne sequestrata la moto, due mitra e una pistola. Nello stesso giorno venne catturata una spia fascista in possesso di una pistola e passata per le armi. Praticamente tutto il vasto territorio del Comune era sotto il controllo dei partigiani. Questa situazione aveva così allarmato e gettato nel panico il presidio fascista di Arcevia, le autorità repubblichine e i collaboratori civili dei nazi-fascisti da indurli a richiedere rinforzi alle SS tedesche per una lezione esemplare e radicale alle forze partigiane. Il comando partigiano in previsione di questo rastrellamento, impartì l’ordine al gruppo “S.Angelo” di dividersi in gruppi e di portarsi in tre direzioni diverse; uno in località S.Donnino di Genga, un altro in località Avacelli di Arcevia e il terzo in località Colonnetta di Serra de’ Conti. A Monte S.Angelo dovevano rimanere soltanto pochi partigiani a bada dei prigionieri fascisti, pronti a fuggire alle prime avvisaglie dell’azione nemica. Ma un fatto sconcertante si verificò nella tarda serata del 3 maggio 1944. Una formazione partigiana, proveniente da Vaccarile di Ostra al comando di Manoni Onelio, già brigadiere dei carabinieri, nell'ambito di una riorganizzazione di tutte le forze partigiane locali doveva raggiungere San Donnino, ma giunta in camion a Montefortino decise di fermarsi al Monte Sant'Angelo, dove si unì a quei pochi partigiani, rimasti a guardia dei prigionieri fascisti e, per la stanchezza dello spostamento, decise di pernottare nella casa colonica.
Alle prime luci dell’alba del 4 maggio 1944 circa duemila soldati tedeschi e fascisti con autoblinde, cannoni, mortai e lanciafiamme hanno dato l’assalto al Monte S.Angelo. Nei pressi della casa colonica si accese una cruenta ed impari battaglia tra le soverchianti forze nemiche ed i pochi partigiani che spararono fino all’ultimo colpo. Soltanto alcuni partigiani riuscirono a rompere l’accerchiamento e a mettersi in salvo; tutti gli altri, compresi sette componenti della famiglia Mazzarini e tre partigiani jugoslavi persero la vita nel combattimento. Nemmeno la piccola Palmina, stretta tra le braccia della mamma, venne risparmiata dalla furia nazi-fascista che, nella furia della battaglia, colpì  anche i prigionieri fascisti. Dopo aver portato a termine il massacro di Monte S.Angelo, i nazi-fascisti si portarono a Montefortino, dando la caccia al partigiano di casa in casa. Vennero presi undici partigiani, i quali, dopo essere stati denunciati, punzecchiati con le baionette, torturati ed alcuni anche evirati, vennero fucilati e i loro corpi gettati in un fosso. Altri sette partigiani, fatti prigionieri in varie località del territorio comunale furono portati sotto le mura di S.Rocco di Arcevia e alla presenza della cittadinanza, costretta ad assistere, vennero fucilati. Nei giorni successivi vennero fatti prigionieri altri settanta giovani arceviesi e condotti nel campo di concentramento di Sforzacosta (Macerata). Molti di questi riuscirono a fuggire, ma gli altri vennero condotti in Germania nei campi di concentramento. Due di loro: Carboni Luigi e Santini Giorgio morirono nei lager nazisti. I rastrellamenti nazi-fascisti causarono nell’animo dei partigiani un senso profondo di sgomento e di amarezza per la perdita di tanti compagni di lotta, ma non certamente la disperazione ed il cedimento; anzi una grande volontà di continuare la lotta fino in fondo. Infatti il 17 maggio 1944 tutti i partigiani superstiti si portarono nella macchia di Fugiano, posta tra Castiglioni e Avacelli e lì, assieme ai comandanti di zona, si decise di dar vita a due nuove formazioni partigiane: al distaccamento “Patrignani” e la distaccamento “Maggini”. La guerriglia così riprese ben presto con maggiore slancio, con più rapidità di movimenti e con più efficacia di colpi inferti al nemico.

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