L'eccidio
di Monte Sant'Angelo fu una strage nazi-fascista compiuta il 4 maggio 1944
sul Monte Sant'Angelo, nel comune di Arcevia (Ancona),
nella quale vennero uccisi 63 tra civili e partigiani italiani.
L'eccidio
venne perpetrato da truppe nazi-fasciste per combattere le azioni partigiane
che in quegli anni realizzarono importanti vittorie. Sottolineiamo che anche
decine di prigionieri stranieri, soprattutto jugoslavi, fuggiti dopo l'8
settembre dal campo di concentramento di Arezzo, raggiunsero a piedi Monte
sant'Angelo trovando ospitalità presso alcune famiglie. Molti di questi
prigionieri poi andarono a raggiungere le formazioni partigiane in montagna. Se
oggi Arcevia e Ribnica (cittadina della Slovenia) sono unite da un Patto di
Amicizia, consacrato ufficialmente nel gemellaggio del 1972, si deve proprio
alla lotta partigiana condotta insieme contro il comune nemico nazi-fascista e
per gli stessi ideali di libertà, di giustizia sociale e di pace.
Favorirono
il sorgere e lo svilupparsi della lotta partigiana sia la natura montagnosa del
territorio, cosparso di spesse boscaglie di querce, di pino e di altri alberi,
sia soprattutto le tradizioni patriottiche e progressiste radicate nella sua
popolazione e risalenti al primo Risorgimento e agli anni immediatamente
successivi alla fine della prima grande guerra mondiale. Questi sentimenti di
patriottismo e di emancipazione politica rimasero sopite, ma non cancellate
nella coscienza degli arceviesi durante il ventennio fascista.
Furono
proprio queste caratteristiche a determinare la piena adesione di gran parte
della popolazione e, in particolare, dei contadini alla lotta della Liberazione
Nazionale. Ben presto le case coloniche diventarono caserme e le sedi dei
comandi militari e partigiani; le stalle, i fienili e le capanne si
trasformarono in dormitori; le loro povere dispense diventarono le fonti
principali del sostentamento dei combattenti per la Libertà. I contadini
preferirono dare quel poco che avevano ai partigiani, piuttosto che versare
agli ammassi determinate quantità di derrate alimentari anche con il rischio di
forti minacce per questa loro inadempienza.
Per
questo pieno appoggio dei contadini alla resistenza decine di case coloniche
furono date alle fiamme e molti di loro persero la vita per aver dato alloggio
ai partigiani. Il 24 dicembre 1943 divenne operativo il primo
raggruppamento partigiano a Monte S.Angelo, composto inizialmente di 18 uomini,
armati di moschetto, di fucili da caccia e di qualche bomba a mano.
Il
20 gennaio del 1944, il gruppo attaccò la caserma dei carabinieri e
militi di Montecarotto, al solo scopo di impadronirsi delle armi ma per il
rifiuto opposto dal comandante della caserma, fu aperto il fuoco e due militi
rimasero uccisi; riportarono ferite anche due partigiani. Dopo questa azione il
comando del gruppo “S.Angelo” passò al partigiano Domenico Biancini a causa di
una malattia del comandante Attilio Avenanti.
Il
2 febbraio 1944 alcuni partigiani del gruppo “S.Angelo” si unirono alle
formazioni partigiane del fabrianese per dare l’assalto ad un treno fermo nella
stazione di Albacina, carico di 720 giovani, prelevati in diverse città
d’Italia per essere deportati in Germania. Ne nacque una violenta sparatoria
contro la scorta del treno e nel combattimento due partigiani rimasero uccisi,
ma l’operazione riuscì nel suo intento di liberare quei giovani. Anzi uno di
questi, Bollati Luigi di Milano, entrò poi a far parte del gruppo partigiano
locale.
Il
6 febbraio 1944 il gruppo “S.Angelo” si portò presso il deposito di armi
e di equipaggiamenti vari del presidio fascista di Arcevia e si impadronì di
cinque moschetti, di munizioni varie, di coperte e cappotti. Prelevò anche
alcuni quintali di sale che in gran parte venne distribuito alla popolazione.
Sempre in questo periodo vennero perquisite alcune abitazioni di fascisti e un
deposito di armi nella stazione ferroviaria di Senigallia. Questa operazione
fruttò il seguente bottino: 6 fucili mitragliatori, 60 moschetti, una
mitragliatrice pesante, 3 casse di bombe a mano e di munizioni varie. Con
questo materiale bellico è stato possibile armare più adeguatamente il gruppo
“S.Angelo” che intanto si andava sempre più arricchendo di nuovi elementi. Dopo
due attacchi alla posizione tenuta dal gruppo S.Angelo da parte dei militi
della Guardia Nazionale Repubblicana di stanza a Cabernardi, il 17 aprile 1944
venne effettuato l’assalto al presidio fascista, posto a guardia della miniera
di zolfo di Cabernardi. La sorpresa e la buona conduzione portarono al pieno
successo. Tutto il presidio composto in quel momento di 13 militi si arrese. La
baracca che serviva da dormitorio al presidio venne bruciata; mentre un milite
fascista rimasto ferito nello scontro venne ricoverato all'ospedale di Arcevia,
gli altri militi furono portati al Monte Sant'Angelo dove furono tenuti
prigionieri sotto stretta sorveglianza. Abbondante è stato il bottino di
guerra: 4 mitra “Beretta”, un fucile mitragliatore, 7 moschetti, mezza cassa di
bombe a mano, una cassa di munizioni e una pistola. Nel pomeriggio dello stesso
giorno circa 50 fascisti armati sopraggiunsero nella zona del Monte Sant'Angelo
per attaccare il gruppo e liberare i camerati prigionieri. Allertati dalle
sentinelle, i partigiani si predisposero a una pronta difesa adottando la
tecnica dell'accerchiamento. Dopo un'ora e mezza di sparatoria, i fascisti si sganciarono
e ripiegarono in fuga precipitosa portandosi dietro alcuni feriti; da parte
partigiana non si ebbe a subire alcuna perdita.
Il
27 aprile 1944 lungo la strada Arcevia-Sassoferrato venne bloccata una
pattuglia fascista a bordo di una moto “Alce”. I due militi vennero fatti
prigionieri e portati a Monte S.Angelo, venne sequestrata la moto, due mitra e
una pistola. Nello stesso giorno venne catturata una spia fascista in possesso
di una pistola e passata per le armi. Praticamente tutto il vasto territorio
del Comune era sotto il controllo dei partigiani. Questa situazione aveva così
allarmato e gettato nel panico il presidio fascista di Arcevia, le autorità
repubblichine e i collaboratori civili dei nazi-fascisti da indurli a
richiedere rinforzi alle SS tedesche per una lezione esemplare e radicale alle
forze partigiane. Il comando partigiano in previsione di questo rastrellamento,
impartì l’ordine al gruppo “S.Angelo” di dividersi in gruppi e di portarsi in
tre direzioni diverse; uno in località S.Donnino di Genga, un altro in località
Avacelli di Arcevia e il terzo in località Colonnetta di Serra de’ Conti. A
Monte S.Angelo dovevano rimanere soltanto pochi partigiani a bada dei
prigionieri fascisti, pronti a fuggire alle prime avvisaglie dell’azione nemica.
Ma un fatto sconcertante si verificò nella tarda serata del 3 maggio 1944. Una
formazione partigiana, proveniente da Vaccarile di Ostra al comando di Manoni
Onelio, già brigadiere dei carabinieri, nell'ambito di una riorganizzazione di
tutte le forze partigiane locali doveva raggiungere San Donnino, ma giunta in
camion a Montefortino decise di fermarsi al Monte Sant'Angelo, dove si unì a
quei pochi partigiani, rimasti a guardia dei prigionieri fascisti e, per la
stanchezza dello spostamento, decise di pernottare nella casa colonica.
Alle
prime luci dell’alba del 4 maggio 1944 circa duemila soldati tedeschi e
fascisti con autoblinde, cannoni, mortai e lanciafiamme hanno dato l’assalto al
Monte S.Angelo. Nei pressi della casa colonica si accese una cruenta ed impari
battaglia tra le soverchianti forze nemiche ed i pochi partigiani che spararono
fino all’ultimo colpo. Soltanto alcuni partigiani riuscirono a rompere
l’accerchiamento e a mettersi in salvo; tutti gli altri, compresi sette
componenti della famiglia Mazzarini e tre partigiani jugoslavi persero la vita
nel combattimento. Nemmeno la piccola Palmina, stretta tra le braccia della
mamma, venne risparmiata dalla furia nazi-fascista che, nella furia della
battaglia, colpì anche i prigionieri
fascisti. Dopo aver portato a termine il massacro di Monte S.Angelo, i
nazi-fascisti si portarono a Montefortino, dando la caccia al partigiano di
casa in casa. Vennero presi undici partigiani, i quali, dopo essere stati
denunciati, punzecchiati con le baionette, torturati ed alcuni anche evirati,
vennero fucilati e i loro corpi gettati in un fosso. Altri sette partigiani,
fatti prigionieri in varie località del territorio comunale furono portati
sotto le mura di S.Rocco di Arcevia e alla presenza della cittadinanza,
costretta ad assistere, vennero fucilati. Nei giorni successivi vennero fatti
prigionieri altri settanta giovani arceviesi e condotti nel campo di
concentramento di Sforzacosta (Macerata). Molti di questi riuscirono a fuggire,
ma gli altri vennero condotti in Germania nei campi di concentramento. Due di
loro: Carboni Luigi e Santini Giorgio morirono nei lager nazisti. I rastrellamenti nazi-fascisti causarono
nell’animo dei partigiani un senso profondo di sgomento e di amarezza per la
perdita di tanti compagni di lotta,
ma non certamente la disperazione ed il cedimento; anzi una grande volontà di
continuare la lotta fino in fondo. Infatti il 17 maggio 1944 tutti i
partigiani superstiti si portarono nella macchia di Fugiano, posta tra
Castiglioni e Avacelli e lì, assieme ai comandanti di zona, si decise di dar
vita a due nuove formazioni partigiane: al distaccamento “Patrignani” e la
distaccamento “Maggini”. La guerriglia così riprese ben presto con maggiore
slancio, con più rapidità di movimenti e con più efficacia di colpi inferti al
nemico.
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