giovedì 3 gennaio 2013

Il negozio griffato di Zorzi a due passi da piazza Fontana

Da piazza Fontana alla Galleria Vittorio Emanuele sono pochi passi. Eppure tra la strage neofascista del 1969 nella Banca Nazionale dell'Agricoltura e un negozio alla moda di borse e accessori che sta in via Ugo Foscolo 3 in forza di una concessione del Comune di Milano, non si immaginerebbe alcun nesso. E invece ora gli interrogatori di un amministratore, rimasto invischiato in una causa civile al tribunale di Milano e in una inchiesta per bancarotta in Procura, svelano che questo negozio monomarca «Oxus», tuttora attivo nel «salotto» del centro città, nell'estate 2010 è passato di mano insieme all'avviamento del marchio e a tutta la merce in magazzino, ma depurato dei debiti lasciati a zavorrare la società venditrice già in insolvenza per perdite apparenti di 15 milioni di euro: 3 mesi prima del fallimento di questo «Grup.P. Gruppo Pelle Italiana spa», teoricamente appartenente alla società di diritto cipriota «Meadcraft Holdings Limited», il 30 giugno 2010 il negozio in Galleria è stato infatti sfilato e venduto per un prezzo stracciato (quasi quattro volte inferiore ai soldi offerti poco prima da una grande casa di moda) a una società amministrata da uno svedese «di cui azionista - scrive il tribunale civile - era la stessa persona azionista del gruppo fallito e menzionata dall'amministratore al pm negli interrogatori, e cioè Hagen Roi, in italiano Delfo Zorzi».
Ovvero il neofascista riparato da molti anni in Giappone (dove ha avuto la cittadinanza) quand'era latitante per i processi per la strage di piazza Fontana, dai quali è stato assolto in Cassazione dopo una condanna in primo grado all'ergastolo, e per la strage di piazza della Loggia a Brescia nel 1974, dai quali è stato assolto anche in primo e secondo grado. È nel 2005 che voci nel settore della moda, ma soprattutto un articolo dell' Espresso , cominciano a ipotizzare legami tra il marchio «Oxus» e la seconda vita di Zorzi in Giappone, quella da imprenditore della pelletteria. Poi alla fine del 2010 è la Guardia di Finanza di Venezia, in un'operazione antievasione partita da una verifica fiscale alla società veneta «Svalduz srl», a comunicare di aver «scoperto, nel server di posta elettronica, un raffinato sistema di comunicazione criptata, fatta di acronimi, sigle e codici identificativi, attraverso il quale Delfo Zorzi, dal Giappone, disponeva dettagliatamente alle varie società tutte le operazioni da svolgere».
Eppure il fruttuoso negozio in Galleria Vittorio Emanuele sembra, nonostante tutto, essere rimasto nel portafoglio dell'ex latitante, e con modalità ora finite nel mirino della magistratura. Il tribunale civile, infatti, ha autorizzato il sequestro almeno di 700.000 euro sui beni dell'ultimo amministratore subentrato nel febbraio 2010 a un'amica di gioventù di Zorzi d'improvviso destituita dalla proprietà. In Procura il pm Laura Pedio indaga in un fascicolo per l'ipotesi di bancarotta. E «B&A srl» e «Euroteam», due società che dal 2003 e dal 2007 pianificavano le campagne pubblicitarie da centinaia di migliaia di euro l'anno commissionate dal «Grup.P. Italia», hanno ottenuto sequestri conservativi. 
Il nodo è la lettura dei fatti del 30 giugno 2010, quando il «Grup.P.», tenendosi i debiti, decide di cedere per teorici 700.000 euro (che nemmeno si sa se davvero pagati e finiti dove) il ramo d'azienda rappresentato dall'avviamento del marchio «Oxus» e del negozio (più merce in magazzino) in Galleria Vittorio Emanuele, per il quale una casa di moda sette giorni prima aveva offerto 1,8 milioni sentendosi rispondere che ne valeva almeno 2 e mezzo, a una società in provincia di Venezia (appunto la «Svalduz srl») rappresentata dallo svedese Etrik Patrik Vistebrandt, nipote di Zorzi. «In questo modo - ha scritto il giudice Enrico Consolandi - è stato sottratto al fallimento un bene di rilevante valore, e non è chiarissimo dove siano finiti i denari costituenti il prezzo. Il contratto è di una povertà sconsolante, senza alcuna descrizione o valutazione del magazzino che già da solo poteva valere quella somma». E per il giudice è lampante che, «tenuto conto della prossimità al fallimento» e «della coscienza dello stato di insolvenza in cui versava la società a dire delle dichiarazioni al pm dello stesso amministratore, si tratta di una operazione assolutamente avventata», che ha depauperato i creditori del gruppo venditore di lì a poco fallito in ottobre.


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